Il suolo. Un capitale da ristabilire
In questo approfondimento dello Sportello del Biologico del progetto Funky Gal 2 parliamo di suolo. Il terreno non è soltanto il supporto delle nostre coltivazioni ma anche un ecosistema complesso di straordinaria importanza per la nostra sopravvivenza.
Per lungo tempo il suolo agricolo è stato considerato un mero supporto delle coltivazioni umane, un sistema inerte su cui intervenire liberamente con gli input esterni necessari alle piante coltivate, ovvero irrigazione e nutrienti. Questi ultimi, a partire dalla Rivoluzione Verde del dopoguerra, termine con cui si indica l’industrializzazione dell’agricoltura e l’applicazione su larga scala dei fertilizzanti, sono stati per lo più di sintesi chimica.
Azoto, fosforo e potassio elargiti in quantità spesso eccessive. Questo approccio, insieme alla meccanizzazione delle operazioni agricole e alla selezione di nuove varietà di piante, ha incrementato enormemente la produttività dei terreni ed effettivamente ha, nel breve periodo, consentito di superare vasti problemi di sottoproduzione che provocavano criticità alimentari in molti paesi, come quelli asiatici.
Non ci si è resi conto, però, che questo slancio stava erodendo il capitale fondamentale del settore agricolo, quello del suolo.
Il suolo è un ecosistema complesso. Un aggregato vitale di frazione inorganica, minerale, e organica, funghi, batteri ed insetti. Queste comunità incidono profondamente sulla qualità del terreno. In particolare determinano il funzionamento del ciclo del carbonio, ovvero quel complesso sistema che vede la CO2 atmosferica convertita in sostanza organica vegetale, attraverso la fotosintesi, la quale viene poi accumulata nel primo strato di terreno. Una parte di questa viene mineralizzata dai microrganismi del suolo e riconvertita a CO2. Una parte viene trasformata in humus, un composto organico relativamente stabile in grado di perdurare più tempo nel suolo creando nicchie vitali per batteri, funghi e insetti, e di accumulare nutrienti e acqua, determinando la fertilità del suolo stesso.
In questo senso i suoli costituiscono un enorme serbatoio di carbonio fondamentale anche per la regolazione del clima terrestre poiché in questo modo sottraggono CO2 all’atmosfera, abbassando così l’effetto serra.
Il combinato disposto tra l’utilizzo dei fertilizzanti chimici e dei pesticidi (che minano la biodiversità dei microorganismi del suolo) e della meccanizzazione con arature profonde (che portano in superficie la sostanza organica e facilitano la sua ossigenazione e la mineralizzazione) hanno ridotto drasticamente il contenuto di carbonio nei terreni agricoli. Si pensi che in aree di pianura del nord Italia la maggior parte dei terreni ha una dotazione di carbonio pari a circa il 1-2% con ampie aree inferiori all’1%. I suoli forestali delle stesse aree (i pochi rimasti) oscillano tra il 3 e il 5%. APAT stima che l’aumento dello 0,1% di carbonio nei suoli agricoli in Italia corrisponderebbe, in termini di stoccaggio di CO2 e quindi carbonio, alla metà delle emissioni annuali italiane.
D’altra parte questi dati ci danno l’idea di quanto l’agricoltura abbia contribuito al cambiamento climatico, riducendo di una forbice stimata tra il 25 e il 75% il contenuto di carbonio nei suoli preagricoli.
Non è soltanto il discorso climatico ad essere toccato dalla nostra gestione del suolo ma anche la sua produttività e la salute delle nostre piante e dell’ecosistema tutto. Distruggere la biodiversità significa eliminare i patogeni ma a anche lasciare spazi aperti per organismi nocivi resistenti ai prodotti chimici utilizzati e che non incontrano più la resistenza di altri organismi che occupano le nicchie ecologiche del terreno.
E’ poi coinvolto l’aspetto legato alla fertilità. Carbonio e sostanza organica vogliono dire humus, ovvero creazione di aggregati umici stabili, in grado di catturare e rilasciare nutrienti, migliorare la struttura del suolo, mantenere l’areazione del substrato.
Infine sostanza organica significa anche capacità di ritenzione idrica, di infiltrazione delle acque in falda e prevenzione dell’erosione da parte delle precipitazioni più elevate.
La conservazione e il ripristino del suolo è quindi una delle sfide più ampie che l’uomo si trova davanti. Molto si è fatto per andare in questa direzione e molto altro si sta facendo.
Il metodo produttivo biologico certamente ha contribuito a questo approccio, individuando molto tempo fa la fragilità dell’ecosistema agricolo e i rischi che il suo depauperamento poteva rappresentare per l’uomo, sia in termini di salute immediata che di sopravvivenza sul lungo periodo. Molti però sono gli approcci che possono essere affiancati al biologico e che trattano, soprattutto, di conservare la struttura del suolo e la sua sostanza organica.
Sempre più si fa largo il concetto di agricoltura conservativa, per esempio, con il tentativo di sottoporre il meno possibile il terreno ad arature anche superficiali utilizzando adeguate coltivazioni di copertura invernali e il mantenimento dei residui in superficie, in modo da limitare i fenomeni erosivi e la fragilità del terreno scoperto.
Anche i principi dell’agroecologia (affrontata in un precedente articolo) contribuiscono a questo, soprattutto sul lato del mantenimento dell’agrobiodiversità, delle coltivazioni miste e del mutuo aiuto tra specie e famiglie di piante differenti.
Infine l’utilizzo di ammendanti organici o del sovescio di colture di copertura in grado di apportare non soltanto i nutrienti ma anche la sostanza organica di base per avviare i processi di umificazione e arricchimento delle strutture del suolo e al contempo fungere da isolante biologico contro le malerbe. Interessanti progressi vengono fatti in programmi di ricerca internazionali come evidenziato anche nel progetto Life HelpSoil.