La coltivazione dell’olivo in provincia di Bergamo: ricca di storia e dalle interessanti prospettive di sviluppo

Quella degli olivi è una coltivazione a cui Bergamo non viene associata immediatamente, ma che qui vanta una tradizione secolare. In questo contributo allo Sportello del Biologico, all’interno del progetto Funky Gal 2, ripercorriamo brevemente le tappe di questa coltura nella storia del nostro territorio e le sue prospettive di sviluppo.

La coltivazione dell’olivo è una delle principali attività agricole delle popolazioni mediterranee fin dagli albori delle nostre civiltà. L’olio, nella nostra tradizione, rappresenta un condimento e un metodo di conservazione fondamentale,  uno degli ingredienti caratterizzanti di quella che viene comunemente definita dieta mediterranea.

L’Italia è uno dei principali produttori di olio in tutto il mondo, con una produzione di oltre 400.000 tonnellate annue. Essendo una pianta tipicamente mediterranea, le maggiori estensioni di oliveto si trovano nelle regioni meridionali, a partire dalla Puglia e risalendo fino a Toscana e Liguria. Il nord Italia ha avuto sempre un ruolo marginale in questa produzione, di poche migliaia di quintali provenienti dalle regioni più vocate dei laghi prealpini.

Questa è anche la storia del territorio bergamasco dove l’olivicoltura, tuttavia,  è sempre esistita e di cui si hanno dati statistici a partire dalla metà circa del 1800.

I comuni dove questa coltivazione è radicata da sempre sono quelli che si affacciano sul lago d’Iseo dove le caratteristiche microclimatiche  e del terreno si sono mostrate sempre estremamente favorevoli. In particolare nell’800 l’olivo era diffuso nei territori di Castro, Predore, Sarnico, Tavernola, Riva di Solto, Zorzino, Parzanica e Verturago. Alla metà del secolo oltre il 50% degli uliveti si concentravano a Predore e circa il 30% a Tavernola. Gli impianti, all’epoca, erano per lo più misti, con l’olivo ad accompagnare la vite ed altre colture, mentre era solo residuale la parte dedicata ad oliveto puro.

Non che non ci fosse già all’epoca una grande domanda di olio, sia per il consumo domestico che per alcune attività artigianali. Tuttavia, questo era per lo più importato dalle regioni mediterranee italiane e la produzione provinciale non riusciva che a coprire una minima parte del fabbisogno locale.

Nel 1853 la superficie ad oliveto puro in questi comuni ammontava a soltanto 7,55 ettari. La coltivazione crebbe però nei primi decenni del ‘900 raggiungendo già nel 1910 i 37 ettari e aumentando fino ad oltre 60 ettari nel 1991. E’ però negli ultimi 30 anni che l’olivicoltura è esplosa nel territorio bergamasco, passando a 130 ettari nel 2000 fino ai 173 ettari attuali.

Anche la distribuzione geografica ha visto un considerevole allargamento dell’areale di produzione, allontanandosi dalle sponde del lago per estendersi in molti comuni della fascia prealpina, come Chiuduno, Scanzorosciate, Grumello del Monte, Castelli Calepio, Cenate Sopra, Albino e la stessa Bergamo.

In questo processo  ha certamente giocato un ruolo il generale innalzamento delle temperature dovuto al riscaldamento globale in corso, sebbene in aree poco adatte è sempre possibile il verificarsi di pesanti gelate in grado di abbattere la produttività della pianta o di periodi di precipitazioni eccessive che producono l’effetto medesimo.

Un ulteriore elemento che può spiegare questa espansione è anche la disponibilità di terreni favorevoli, situati lungo le pendici meridionali delle colline prealpine, che godono di buona insolazione, scarsità di nebbie invernali e una dotazione idrica elevata garantita dal regime pluviometrico del Nord Italia.

L’ulivo, d’altra parte, è una pianta adattabile. I danni da freddo si verificano oltre i -5 gradi Centigradi e non sono di entità rilevante fino ai -9. Anche per quanto riguarda il terreno mostra un elevato grado di adattabilità. Tuttavia è fondamentale che il terreno sia sciolto, con una percentuale di argilla non superiore al 40% in modo da evitare i fenomeni di ristagno idrico. Anche i terreni particolarmente acidi (sotto un pH 6) non consentono buoni risultati produttivi.

Infine, l’esposizione a meridione è senza dubbio un elemento di grande importanza nel favorire la fotosintesi i queste piante di origine mediterranea.

Date queste semplici indicazioni le aree della provincia di Bergamo più adatte all’olivicoltura sono senza dubbio quelle prospicienti il lago d’Iseo, la Valcavallina, la Valcalepio e l’area collinare del comune di Bergamo. Ciò non toglie che anche altrove possano verificarsi condizioni microclimatiche e di esposizione favorevoli allo sviluppo di questa attività.

La scelta varietale è un altro elemento di grande importanza nella costituzione di un oliveto. Non tutte le varietà sono uguali ed è importante scegliere quelle che godono già di una lunga tradizione sul territorio che ne garantisce la resistenza e il risultato produttivo. Nella Bergamasca sono diverse quelle più diffuse, dal Leccino al Frantoio, dalla Grignano alla Bianchera. Qui vogliamo porre l’attenzione soprattutto su una: la Sbresa. Questa varietà è infatti considerata l’unica autoctona del territorio bergamasco e in particolare del  Sebino. La Sbresa sembra sia una varietà vicina al Frantoio evolutasi dalle prime piante portate dai Romani durante l’espansione dell’Impero, più di 2000 anni fa. La sua coltivazione si è mantenuta durante tutti questi secoli anche grazie a diversi monasteri che ne hanno conservato la coltivazione. Oggi è stata inserita nel Catalogo Nazionale degli Oli Monovarietali, unica rappresentante in questa provincia ed è tra le varietà utilizzabili nella produzione di olio DOP Laghi Lombardi. Data la sua lunga storia mostra un ottimo adattamento al clima e sopporta anche molte delle più frequenti malattie che colpiscono la specie.

Va ricordato che la scelta della cultivar, così come del terreno, del sesto di impianto, insieme alla gestione corretta del terreno, delle altre piante presenti nell’oliveto e della concimazione, sono tutti elementi fondamentali nell’approccio biologico all’olivicoltura. Questa gestione attenta e consapevole ha un effetto di prevenzione sulle patologie e solo superata la soglia limite è consentito intervenire direttamente con i prodotti previsti dal Disciplinare di coltivazione biologica dell’olivo.

In definitiva, possiamo dire che l’olivicoltura rappresenta una prospettiva interessante per molte aree della provincia bergamasca, sia per l’estensione delle aree di coltivazione, sia perchè recupera una tradizione secolare di questo territorio.

Proprio il lavoro di valorizzazione di questa storia, delle tradizioni e delle cultivar locali, come la Sbresa, sono il percorso più promettente per arrivare ad ottenere un olio di qualità elevata e dalle specificità riconosciute. In questo senso il marchio DOP dell’olio extravergine dei Laghi Lombardi ha costituito un passo importante nel diffondere questa consapevolezza tra i consumatori.

Per approfondire il tema dell’olivicoltura nella provincia di Bergamo si consiglia la pubblicazione: Olivicoltura in Provincia di Bergamo. Storia, tecnica e futuro di una coltura di frontiera. Autori: Marco Antonucci e Paolo Oscar. Edito da Provincia di Bergamo, 2011.

 

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