La viticoltura nel territorio di Bergamo
In questo articolo dello Sportello del Biologico, all’interno del progetto FunkyGal2, affrontiamo il tema della viticoltura nella provincia di Bergamo. Un settore storico che sta vivendo una riscoperta significativa, con valutazioni sempre crescenti dei suoi prodotti. Un ambito di sviluppo del settore agricolo dove l’approccio biologico riscuote un significativo apprezzamento da parte del consumatore.
La provincia di Bergamo è un’area vitivinicola storica, la quinta in Lombardia per superficie coltivata, con 714 ettari secondo le rilevazioni ISTAT 2020. Poco, rispetto ai 13.000 di Pavia o ai 7.000 di Brescia. Eppure questa coltivazione qui vanta una lunga tradizione e sta vivendo una riscoperta grazie al successo che negli ultimi anni stanno avendo i suoi vini più rappresentativi.
Il vitigno più antico e rappresentativo della tradizione bergamasca è il Moscato di Scanzo, l’unico autoctono della provincia. Le sue origini vengono fatte risalire alla dominazione romana quando i terreni che attualmente ricadono nel comune di Scanzorosciate, vennero affidati ai legionari come ricollocamento a seguito delle vittorie riportate sui Galli. E’ possibile anche che gli stessi romani lo avessero portato dalla Grecia e questo farebbe risalire le sue origini a tempi e luoghi ancor più remoti.
Questo vitigno è uno dei pochissimi Moscati a bacca nera. Questo termine, moscato, deriva da “muschio”, in virtù del profumo di queste uve.
Rimasto incastonato in un’area molto limitata, il Moscato di Scanzo rischiò di scomparire definitivamente con l’avvento della fillossera, l’insetto che si diffuse come una vera piaga in tutte le regioni vitivinicole europee a partire dalla metà dell’800. Gli ingenti danni che causava all’apparato radicale minacciarono la sopravvivenza di questa coltura, fin quando non si trovò la soluzione nell’innesto dei vitigni nostrani su vite americana, resistente ai suoi attacchi.
Il Moscato di Scanzo venne travolto dalla crisi e nei decenni successivi la sua coltivazione venne quasi del tutto abbandonata tanto che negli anni ’70 del ‘900 era presente soltanto in forma di individui singoli in giardini o aree residuali.
Negli ultimi 30 anni invece la sua coltivazione ha ripreso forza ed è stata riconosciuta con l’ottenimento della più piccola DOCG italiana, quella del Moscato di Scanzo, ottenuta nel 2009.
Il vino che ha certamente aperto la strada alla rinascita del settore vitivinicolo bergamasco è però il Valcalepio DOC, una certificazione ottenuta dopo molti anni di lavoro di recupero e diffusione della viticoltura in un periodo storico in cui l’attenzione della provincia era rivolta quasi esclusivamente all’espansione del settore industriale.
E’ del 1976 l’ottenimento della DOC sia per il Valcalepio rosso che bianco. Il primo ottenuto dall’unione di Merlot e Cabernet, il secondo da Pinot bianco e Pinot grigio.
Questo riconoscimento, insieme all’icessante lavoro di miglioramento e promozione di questo prodotto, ha portato a valorizzare molti terreni collinari fino a rappresentare una vera opportunità per l’agricoltura bergamasca. Tra i comuni in cui oggi è possibile coltivare il Valcalepio DOP ci sono anche quelli del GAL dei Colli di Bergamo e del Canto Alto, come Ranica, Ponte Rania, Sorisole, Villa d’Almè , Paladina e Torre Boldone.
A interessare il territorio del GAL sono anche le ultime due certificazioni presenti ne territorio bergamasco: il Terre dei Colleoni DOC e la Bergamasca IGT.
Un panorama complesso e ricco, dunque, che trova sempre più riscontro sul mercato sia locale che nazionale.
Molto produttori hanno optato per il metodo biologico, un metodo che pone al centro il rapporto del vitigno con l’ecosistema in cui è immerso, privilegiando forme di coltivazione attente all’utilizzo del suolo, al mantenimento della sostanza organica e alla biodiversità animale e vegetale all’interno e nelle immediate vicinanze del vigneto.
La produzione di vino bio non è naturalmente limitata alla fase di coltivazione ma comprende tutti gli step di vinificazione. La normativa di riferimento è attualmente quella del Regolamento europeo 848/2018, in particolare nella parte VI dell’allegato 2.
Oltre al vantaggio ambientale e paesaggistico, la scelta del biologico è determinata anche da un vantaggio di prezzo riscontrato sul mercato. Secondo il Quaderno tematico 5 di SINAB sulla viticoltura biologica, pubblicato nel febbraio 2021, il prezzo dei vini biologici è superiore a quelli convenzionali del 23%, un distacco che diviene ancor più marcato in presenza di certificazioni di origine.
In conclusione è possibile dire che la viticoltura bergamasca biologica rappresenta ancora oggi una buona opportunità di crescita per le realtà agricole del territorio, configurando anche un arricchimento paesaggistico che può essere il volano anche per una multifunzionalità aziendale rivolta all’accoglienza e alla vendita diretta del prodotto.