L’orticoltura urbana. Una pratica dai molteplici benefici
L’orticoltura non è soltanto quella professionale, svolta dalle aziende agricole. Esiste anche quella hobbistica e famigliare, un’attività ricca di ripercussioni benefiche su chi la conduce. Ne parliamo in questo articolo dello Sportello del Biologico, all’interno del progetto FunkyGal2, con uno sguardo alla sua diffusione nel territorio del Gal.
Fare l’orto è un’attività antica, una usanza legata profondamente alla nostra essenza che ha sempre avuto anche il pregio di contribuire alla sostenibilità economica delle famiglie, fornendo frutta e verdura di autoproduzione.
In tutto il mondo, ed anche in Italia, la piccola attività orticola famigliare è stata anche un canale di conservazione della agro-biodiversità del territorio, quella varietà di specie vegetali spesso estromesse dalle produzioni agricole industriali che sono però il prodotto della storia delle popolazioni locali e dell’adattamento delle piante alle specificità climatiche ed edafiche di un preciso luogo. Un patrimonio genetico di straordinaria importanza che sovente è stato riscoperto proprio negli orti per assurgere a nuovo interesse da parte di cuochi,nutrizionisti e agronomi.
Negli ultimi anni si è sempre più diffusa la convinzione che “fare l’orto” non sia soltanto un modo di produrre da sé il cibo, ma anche di rimanere in salute. Questo accade per la qualità dell’alimentazione, certamente. Disporre di un orto induce le persone a sperimentare e variare coltivazioni e dunque la propria dieta. A consumare molta frutta e verdura, e nel momento di piena maturazione, potendo assaporare un gusto che non si può ritrovare nelle filiere lunghe della grande distribuzione e la pienezza di tutte le proprietà nutrizionali.
Una delle scoperte più interessanti è stata quella relativa alla salute mentale. L’attività agricola, manuale, ha dei risvolti positivi sull’umore e un effetto positivo sulle capacità cognitive, soprattutto in tarda età.
L’orto è una costante induzione al movimento fisico. Le piante devono essere bagnate, curate, raccolte e questo obbligo è inderogabile, molto più di un impegno generico a fare ginnastica o movimento. L’attività all’aria aperta stimola le percezioni e rafforza il fisico, contrasta l’invecchiamento e mantiene attive le nostre capacità di programmazione e di risoluzione di problemi pratici che continuamente si pongono in campagna.
Non da ultimo, i conglomerati di orti che vengono assegnati da parte delle istituzioni pubbliche, pongono il soggetto in relazione con i propri vicini, incrementandone la socialità e le attività di cooperazione con altre persone.
Tutto questo ha portato le amministrazioni pubbliche, soprattutto delle aree più urbanizzate dove la popolazione è del tutto staccata dai ritmi della natura, ad assegnare spazi ortivi soprattutto agli anziani, come mezzo di vero e proprio welfare.
Più recente è stata l’attenzione messa sull’importanza di questa attività anche per le generazioni più giovani. Il regolamento di assegnazione degli orti comunali di Bergamo ne ha tenuto conto, destinando proprio ai giovani e alle famiglie alcuni spazi, un modo per incrementare il benessere, la manualità, il rapporto con la natura e una forma di integrazione al reddito delle famiglie meno abbienti.
Una categoria del tutto particolare è quella dei bambini. E’ in questa fase della vita che può maturare una attenzione particolare verso la natura. In questo senso l’orto non deve essere un mezzo di produzione e tantomeno di sfruttamento dell’ecosistema, ma di apprendimento, di osservazione. Una maniera di imparare come crescono le piante, come si aiutano tra loro, come e quando maturano i loro frutti e che sapore questi hanno una volta maturati al sole. Informazioni che, nelle nostre società urbanizzate, non sono affatto banali. Per questo il modello che da tempo si è andato diffondendo è quello dell’orto didattico, creato per lo più all’interno dei comprensori scolastici e gestito dalla solerzia e volontà di insegnanti e presidi con l’aiuto di genitori, nonni e degli stessi bambini.
Sono tanti nel territorio del Gal questi orti. Da Ranica a Sorizole, da Ponteranica a Torre Boldone e Villa d’Almè.
Infine, l’orto è uno straordinario mezzo di socializzazione e cooperazione, in cui l’attività con le piante e la terra sembra avere il potere di addolcire le differenze e aiutare l’inclusione. Gli orti che lavorano in questo senso sono quelli collettivi e sociali. Spazi generalmente pubblici, affidati tramite bando ad associazioni sulla base di un progetto sociale. Si può trattare di una semplice gestione condivisa di un unico grande spazio orticolo con parcelle singole e spazi e attività comuni (come la conservazione dei semi o la compostiera) oppure di progetti ad elevato impatto sociale che lavorano sull’inclusione lavorativa di soggetti in svantaggio. Questa tipologia di orti abbonda a Bergamo città. Dagli orti del Quintino a quelli del quartiere Carnovali, dagli orti della Malpensata a quelli di Colognola e del Villaggio Sposi. Questi progetti trattano di inclusione di carcerati e richiedenti asilo, progetti di lavoro con disabili, alleviamento di malattie mentali. Anche negli orti si manifesta quella ricca rete di solidarietà e mutuo aiuto che la società di Bergamo ha saputo costruire nell’arco della sua storia.