Piccoli frutti: un comparto in crescita
In questo contributo allo Sportello del Biologico del Biodistretto, sviluppato all’interno del progetto Funky Gal 2, affrontiamo un tema di grande attualità nella crescita delle aziende agricole italiane e lombarde: quello della coltivazione dei piccoli frutti. Una valida soluzione per valorizzare piccoli terreni anche in aree collinari e montane, in grado di generare reddito e occupazione e mettere in moto circuiti virtuosi di multifunzionalità aziendale.
I piccoli frutti stanno vivendo da parecchi anni una tendenza di mercato in crescita, sia in termini di domanda che di prezzo. La loro coltivazione ha avuto grande espansione dapprima al sud per poi interessare anche ampie zone del Nord Italia e della Lombardia.
Secondo i dati del Sistema Informativo Agricolo Regionale della Lombardia, riportati da ERSAF, nel 2020 la loro coltivazione era svolta da 3.000 aziende lombarde su una superficie totale di 400 ettari. Il territorio della provincia di Bergamo mostra concentrazioni di superfici interessanti soprattutto per il lampone. Anche il mirtillo trova terreno fertile in provincia, sebbene la sua coltivazione si concentri soprattutto nelle aree più interne della provincia di Varese e di quella di Sondrio.
A questi si aggiungono more e ribes, frutti di minore diffusione commerciale ma che possono anch’essi integrare l’economia aziendale diversificando l’offerta e ampliandone il periodo di disponibilità.
Ciò che si sta osservando, in questo campo, è l’interesse maturato spesso da parte di aziende giovani che cercano produzioni remunerative in grado di rendere economicamente sostenibile anche un’attività su terreni di limitate estensioni. Questa tendenza si affianca ad un’espansione più industriale della produzione, spesso rivolta verso la grande distribuzione, e operata da grandi aziende attraverso tecniche di coltivazione che necessitano di significativi investimenti iniziali, come le coltivazioni protette al sud, in grado di arrivare molto precocemente sul mercato, e le coltivazioni fuori suolo. Queste ultime, in vasi o sacchi, consentono di bypassare eventuali inadeguatezze del terreno e superare i fenomeni di stanchezza del suolo derivanti da un suo eccessivo sfruttamento.
Il nostro target è certamente più indirizzato verso le piccole e medie imprese biologiche che intendono espandere le proprie coltivazioni anche in questo settore, utilizzando coltivazioni in piena terra nel rispetto dell’ecosistema del suolo e dei suoi equilibri.
Sebbene produzioni e prezzi possano essere allettanti, va considerato però che ciascuna di queste piante ha diverse esigenze, non sempre facili da rispettare.
Il lampone, per esempio, viene coltivato bene sia in aree collinari che montane, fino ad una quota di 1.000 metri circa. Essendo originariamente una pianta da margine del bosco, può temere i colpi di caldo e le eccessive insolazioni, così da rendere necessario un sistema parzialmente ombreggiante durante i mesi estivi. Inoltre presenta una limitazione nelle proprie esigenze del suolo. Un terreno profondo, ricco di humus e dal pH acido o subacido. E’ dunque consigliabile, come in ogni caso, svolgere analisi adeguate del terreno per avere un quadro completo delle proprie possibilità anche in questo senso. Terreni troppo calcarei o eccessivamente limosi e compatti ridurrebbero certamente la produttività e la stessa qualità del prodotto.
Un discorso ancor più marcato vale per il mirtillo americano. Un frutto dalla grande richiesta di mercato, sempre più entrato nelle abitudini alimentari di massa. La sua coltivazione è però strettamente connessa al pH del suolo. La maggior parte delle varietà lo esigono infatti nettamente acido, a valori compresi tra 3,5 e 5. Solo una ricerca varietale più minuta consente di trovare alcune cultivar che si spingono verso la neutralità senza perdere eccessivamente produttività. Inoltre il suolo deve essere profondo, mediamente ricco di sostanza organica e relativamente sciolto, tanto da evitare i possibili fenomeni di ristagno idrico.
Anche l’irrigazione è un aspetto da curare con attenzione. A causa dell’apparato radicale superficiale il mirtillo non tollera periodi di siccità.
La coltivazione dei piccoli frutti presenta anche alcune peculiarità nell’organizzazione del lavoro in azienda. Infatti, al netto della gestione del campo, del terreno, delle patologie e delle potature, la maggior parte del lavoro si concentra nel periodo di raccolta. Questa è sì concentrata in poche settimane, ma anche scalare, ovvero non può essere effettuata in una sola operazione ma segue la maturazione dei frutti sul grappolo. Per il lampone, per esempio, si raccoglie a cadenza di due giorni per tutto il periodo di maturazione di circa due mesi. Il mirtillo gigante concentra la produzione in un solo mese.
Si tratta di un lavoro delicato, anche per le caratteristiche fisiche dei frutti, molto fragili. Mediamente si può parlare, per il lampone, di una necessità di manodopera di 3 persone ogni 1000 m2 di terreno durante i due mesi di raccolta, per una resa di 1.500 kg. Poche altre colture presentano una tale densità di lavoro e il reperimento della manodopera è uno dei problemi maggiori che il settore ha vissuto soprattutto in questi ultimi anni di difficili spostamenti all’interno dell’Unione Europea e tra Unione e altri Paesi. Infatti, soprattutto per le aziende di grandi dimensioni e similmente a come accade in buona parte degli altri comparti agricoli, gli operai specializzati provengono per lo più dall’estero.
Per concludere un ragionamento di tipo economico, nel 2021 i prezzi alla GDO (grande distribuzione organizzata) del lampone sono stati di 23 euro al kg circa (su questa cifra si sono attestati Amazon e Conad, sui 18 euro Esselunga e Carrefour). Un trend di prezzo ancora in crescita con +8% sull’anno precedente.
Qualora l’azienda utilizzi la coltivazione di questi frutti come corredo ad un’attività di altro tipo già avviata (orticoltura, accoglienza ecc) disponendo anche di un proprio punto vendita o di circuiti di commercializzazione locale (per esempio i GAS come trattato in un articolo precedente), è chiaro che il prezzo può essere significativamente più alto e la qualità molto superiore, arrivando dal campo alla tavola in pochissimi passaggi. Inoltre in una filiera corta di questo tipo potrebbe anche essere interessante fare un discorso sul packaging, evitando l’utilizzo della plastica che ha tanto caratterizzato questo settore negli ultimi anni, sebbene attualmente si stiano facendo sforzi per passare a materiali più sostenibili.
In generale queste coltivazioni possono rappresentare una buona opportunità per lo sviluppo di terreni marginali e di piccole dimensioni all’interno di aziende già strutturate, o di valorizzazione di terreni collinari e montani. Ma prima di affrontare questo investimento è necessario avere contezza delle caratteristiche del suolo per non incorrere in amare sorprese successivamente.