Lo zafferano, coltura di nicchia in forte espansione

Continua la disamina delle coltivazioni di nicchia che interessano il nostro territorio. In questo nuovo approfondimento dello Sportello del Biologico, all’interno del progetto Funky Gal 2, diamo uno sguardo ad una coltura davvero speciale, sia per il prodotto che genera, sia per la grande risonanza e diffusione che ha avuto in questi ultimi anni: lo zafferano.

Osservando le mappe ERSAF sulle colture di nicchia in Lombardia, si nota che lo zafferano presenta una distribuzione piuttosto omogenea nel territorio regionale. A differenza di alcune altre che hanno particolari esigenze edafiche e di temperature, come i piccoli frutti analizzati in un precedente articolo, e che per queste ragioni si concentrano soltanto in alcune aree che vi rispondono, lo zafferano mostra estensioni in un po’ tutti i piani altitudinali lombardi: la pianura, le colline appenniniche, l’area prealpina e anche le valli interne alpine.

La provincia di Bergamo è una di quelle più attive in questo settore con parecchie aziende soprattutto attorno al capoluogo e nelle aree prealpine. Da una rapida disamina in rete emergono circa una decina di realtà che producono zafferano.

La storia che raccontano è molte volte simile tra loro. Si tratta di imprese giovani che spesso emergono dall’esperienza di ragazze e ragazzi che hanno seguito studi agronomici e hanno poi individuato nello zafferano la coltura adatta per mettere a valore terreni di piccole dimensioni, riuscendo a ricavare un reddito anche da poche migliaia di metri quadrati.

Altre volte sono storie di rinascita. Di una passione nata al termine di carriere lavorative svoltesi in altri campi  o che ha portato ad interromperle per dedicarsi alla vita in campagna.

Sono anche storie di innovazione anche del contesto montano interno, che si appoggiano alle Università e ai laboratori di analisi per verificare la qualità del proprio prodotto.

Lo zafferano, seguendo questo flusso di informazioni che emerge dalle storie del web, dai “chi siamo” di questi siti, sembra una promettente opportunità, quella di mettere a frutto terreni anche residuali, che altrimenti non troverebbero alcun impiego redditizio.

Ma è davvero così?

Certamente questo piccolo bulbo ha esigenze più frugali di tante altre piante. Si tratta di una specie (Crocus sativus) che vede la sua maggior distribuzione nei climi aridi iranici. Proprio l’Iran ne è il maggior produttore globale, coprendo il 90% del mercato mondiale (360 tonnellate). Nel restante 10 si collocano i paesi mediterranei come Grecia (7,2 tonnellate), Spagna (2,3 t.) Marocco (2,6). L’India è il secondo produttore con 22 tonnellate.

L’Italia non figura tra i principali produttori (si stima che la produzione totale non superi i 600 kg), eppure molte delle sue regioni presenterebbero nicchie climatiche favorevoli ad ottenere un prodotto di ottima qualità. Inoltre la richiesta è elevata. Si pensi che il valore delle importazioni di zafferano si aggira annualmente attorno ai 23 milioni di euro.

Le produzioni italiane trovano la loro maggior diffusione in Sardegna, ma, negli ultimi anni, hanno visto una crescita significativa anche nel centro e nel nord Italia. Sono circa 350 le imprese specializzate, per lo più con estensioni molto piccole, tra i 200 mq e i 5000 mq. Le grandi aziende superiori all’ettaro di dimensioni si concentrano nel Medio Campidano sardo.

In effetti questa coltura non presenta grandi difficoltà. Necessita di un terreno sciolto, privo di ogni ristagno idrico e con un pH neutro o lievemente alcalino. Non ha bisogno di irrigazione, il che lo rende certamente molto interessante in ambiente mediterraneo o in terreni residuali che non ne sono provvisti.

Nei terreni al nord, in particolare quelli di pianura, per ovviare alla naturale compattezza e umidità dei suoli, si applicano particolari lavorazioni. La più comune è quella di creare dei cordoni sopraelevati, delle aiuole rialzate, all’interno delle quali vengono seminati i bulbi in agosto. Il ciclo prevede la fioritura ad ottobre, con la raccolta degli stimmi, la vegetazione durante il periodo invernale, la riproduzione vegetativa dei bulbi in primavera (il bulbo che ha fiorito si secca e genera altri bulbi ai propri fianchi) e il riposo vegetativo durante l’estate.

Non presenta particolari malattie, se non alcune fungine come il Fusarium a cui si cerca di riparare trattando i bulbi con fungicida prima della semina (la cosiddetta concia).

Per il resto si deve far attenzione alle lumache durante la fioritura e a topi e conigli che potrebbero dissotterrare i bulbi per cibarsene. Tuttavia la coltivazione si presta bene ad un regime biologico.

Da un punto di vista economico la redditività è certamente elevata, soprattutto ad unità di terreno. Con alcune migliaia di metri quadri di terreno è possibile ricavare un reddito minimo, traguardo davvero difficile con altri tipi di colture.

Tuttavia non si tratta di un guadagno facile. Il lavoro è davvero molto e, ad oggi, completamente manuale. A parte le operazioni agricole di preparazione del terreno e di concimazione, la raccolta dei fiori e la successiva separazione degli stimmi viene fatta a mano. Ogni anno, o ogni 3-5 anni se si sceglie una coltivazione pluriennale, i bulbi vanno poi dissotterrati quando entrano a riposo, selezionando quelli nuovi formatisi in primavera. Anche questa è un’operazione da svolgere manualmente per non rovinarli con un intervento meccanico.

Il prezzo di un grammo al produttore può variare tra i 10 e i 30 euro. Per ricavare un chilogrammo sono necessari circa 200.000 fiori (circa 60.000 bulbi) per un ammontare di circa 500 ore lavorate. In un ettaro possono essere messi a dimora 500-600.000 bulbi, con un investimento iniziale molto elevato (40-80 cent a bulbo).

Insomma, sia per investimento iniziale che per produttività e lavoro richiesto, lo zafferano non è certo un mezzo per guadagnare molto e facilmente. Tuttavia ha il pregio di poter essere coltivato in molti tipi di terreni, anche in posizioni residuali e anche di dimensioni non grandi. In qualche modo, anche questa coltura ha contribuito a offrire opportunità di ritorno alla campagna a quelle tante (e in crescita costante) persone che ne riscoprono la bellezza di questo stile di vita.

Un’ulteriore possibilità di costruire tradizione e qualità che si somma alle altre colture che abbiamo esaminato in diversi nostri articoli e che insieme concorrono a rendere il territorio della provincia bergamasca un’area di varietà agricola, di sperimentazione, innovazione e valorizzazione dei prodotti e delle filiere.

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